Aberranze - Brain-rot
Mentre l'Oxford dictionary decide che il cervello umano è marcito, esce un libro dedicato alla rivista IL MALE. Dall'ironia alla demenza nel breve volger di qualche decennio.
BRAIN-ROT
La diagnosi di ADHD (disturbi dell’attenzione), che gli psichiatri e gli educatori distribuiscono a piene mani ai ragazzini, fa ridere. La massa di stimoli neuro-informativi irrorati nella Mediasfera si è moltiplicata di un milione di volte negli ultimi cinquant’anni. Il cervello della generazione connettiva, bombardato da neuro-stimoli, reagisce in modo auto-distruttivo, per esempio votando per Giorgia Meloni o per Donald Trump. In casi estremi si tagliano le braccia con una lametta o si buttano dal quinto piano.
Ma è del tutto inutile e fuorviante patologizzare la condizione in cui si trova il cervello connesso. I comportamenti che gli psichiatri e gli educatori definiscono come patologie sono semplicemente e comprensibilmente tentativi (disperati) di adeguamento del ritmo mentale al ritmo infosferico.
La demenza è sistemica, non patologica. Da un lato c’è la demenza senile della generazione terrorizzata dall’esaurimento e dal declino.
Dall’altro la demenza di una generazione bombardata da enormi tempeste di merda.
L’Oxford Dictionary ha deciso che brain-rot è la parola dell’anno, perché pare che il suo uso si sia moltiplicato del 230% dall’anno 2023 all’anno 2024.
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/12/02/brain-rot-cervello-marcio-per-sovraesposizione-ai-social-la-nuova-parola-per_336e2960-4ab5-4be0-ac50-cdb9a1c5a564.html
Il cervello umano è frollato, marcito, fottuto. La prova l’abbiamo nei comportamenti elettorali, sociali, politici, esistenziali dell’umanità contemporanea. Ma non si tratta di patologia, si tratta di accelerazione capitalista.
Provate a immaginare di essere di fronte a uno schermo sul quale si proietta un film. Il proiezionista ha accelerato il ritmo di scorrimento dei fotogrammi, di dieci, cento mille volte. Non riuscite più a capire che senso abbia il flusso di colore che scorre davanti ai vostri occhi. Siete voi a essere diventati scemi oppure il proiezionista vi ha fatto uno scherzo assassino?
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Il 6 dicembre uscirà nelle librerie il libro “Gli anni del Male- Quando la satira diventa realtà” (ed. Derive e approdi), che racconta l’esperienza del più importante giornale di satira del dopoguerra, creato a Roma alla fine degli anni Settanta da un collettivo di autori, scrittori e disegnatori. “Il Male” ha avuto una breve durata, dal 1978 alla metà del 1982, ma la sua influenza è stata enorme e a lungo termine, non solo sulla satira che ne è seguita, ma anche sul linguaggio giornalistico, pubblicitario, televisivo. Il volume, curato da Mario Canale, Giovanna Caronia e Angelo Pasquini, raccoglie articoli, storie, montaggi, foto e disegni, compresi i famosi “falsi”, pubblicati sul giornale, oltre ai contributi di alcuni scrittori, critici e esperti di satira (Filippo Ceccarelli, Franco Bifo Berardi, Fulvio Abate, Luca Raffaelli, Michele Mordente, Eugenio Lo Sardo).
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ABERRANZE
Dedico questo saggio a Piero Lo Sardo, il più saggio e il più lungimirante di tutti noi, come dimostra il fatto che decise di abbandonare la terra proprio nei mesi e nei giorni in cui stava trasformandosi in un inferno.
Parliamo di decodifica aberrante quando - per qualche ragione, intenzionale o involontaria - interpretiamo un messaggio secondo un codice che non è lo stesso codice di chi il messaggio lo ha spedito.
Ma in alcuni casi (e sono questi che più ci interessano) la decodifica è aberrante perché il messaggio è stato costruito intenzionalmente in maniera ambigua, così da suggerire diverse possibilità di interpretazione, oppure una possibilità di interpretazione che l’enunciante sa benissimo non essere vera.
Nella comunicazione sociale si possono attuare strategie discorsive aberranti. Che questo sia bene o sia male non si può giudicare in astratto.
Cosa sia vero e cosa sia falso nella comunicazione sociale è difficile da stabilirsi. Possiamo formulare enunciati che corrispondano alla realtà fattuale? Ma cosa sarebbe la realtà fattuale se stiamo parlando dell’effetto semiotico di innumerevoli flussi linguistici che si intrecciano nel campo sociale?
Se oggi - lunedì - io affermassi coram populo: “oggi è sabato”, mi si potrebbe dire che sto mentendo. Però ammetterete che vi sono condizioni contestuali che autorizzano una falsità di questo genere. Poniamo che io stia registrando una trasmissione radiofonica che andrà in onda alla fine della settimana. Oppure poniamo che io appartenga a una setta di iniziati che fanno coincidere il loro fine settimana con l’inizio di settimana degli altri comuni mortali. In questi casi il falso corrisponderebbe al vero.
Il contesto, l’intenzione, ma anche l’inganno - rendono sdrucciolevole la relazione tra l’enunciato e l’interpretazione, e soprattutto tra l’enunciato e la realtà fattuale.
A metà degli anni Settanta, che furono anni assai strambi, una setta di sabotatori, influenzati da certe teorie semiotiche che andavano in voga, e animati dal proposito di sovvertire ogni ordine, compreso quello del Significato, si misero a sperimentare forme di comunicazione pervertitrice, o sovversiva, o più semplicemente (si fa per dire) ambiguamente ironica.
La rivista bolognese A/traverso, nel 1976 pubblicò un articolo che portava il titolo “Informazioni false producono eventi veri”.
Piuttosto che una constatazione, era un programma.
Era una maniera per dichiarare: se ci mettiamo a diffondere notizie false potremo ottenere l’effetto di rivelare qualcosa che le notizie cosiddette vere nascondono. E anche: se ci mettiamo a diffondere informazioni che non corrispondono al vero, potremmo spingere il popolo dei riceventi a compiere azioni sovversive, e forse addirittura ad emanare un mondo vero del tutto differente da quello in cui viviamo.
C’era tutto un brulicare di teorie semiotiche dietro queste sperimentazioni: la batesoniana pragmatica della comunicazione, la teoria eco-fabbriana della simulazione, le farneticazioni post-strutturaliste sui collettivi di enunciazione delirante, la teoria che il pensiero è debole perché non si poggia su alcuna verità obiettiva, per cui quel che conta sono le interpretazioni piuttosto che i fatti, e così via.
Ma soprattutto c’era l’intenzione politica di rompere il circuito di auto-conferma del dominio da parte della comunicazione.
Dicevano infatti quei sovvertitori (tra i quali mi intrufolavo): coloro che detengono i mezzi di produzione e sfruttano il lavoro altrui posseggono tra le altre cose i giornali, le radio e le televisioni. Essi raccontano un mondo che corrisponde ai loro interessi.
Mettiamogli il bastone fra le ruote. Il bastone era fatto di parole che facevano impazzire l’ingranaggio.
Tutti i giorni ci sono operai che muoiono sul lavoro. Se il Resto del Carlino, giornale padronale bolognese, uscisse con il titolo: “Anche oggi tre operai moriranno sul lavoro”, sarebbe la verità, ma il Resto del Carlino non ha nessuna intenzione di scriverla.
E allora la scrivemmo noi. Dunque scrivemmo la verità. Stampammo quella verità su un foglio che fingeva di essere la locandina del quotidiano (e non lo era). E attaccammo sui muri vicino alle edicole una locandina che diceva la verità mentre la falsificava.
Si trattava di azioni di sabotaggio informativo.
Un giorno mi trovavo nella redazione di Radio Alice (una radio vera, ma anche un po’ falsa, perché non era una radio come tutti pensavano allora che le radio dovessero essere) e lessi su una rivista il numero di telefono della segreteria personale di Andreotti, la persona più potente del paese.
Senza pensarci due volte sollevai la cornetta del telefono (a quell’epoca i telefoni avevano cornette, pensate un po’ come cambia il mondo) e feci il numero.
Mi rispose un dipendente dell’ufficio del Primo Ministro, e mi venne in mente di dirgli una bugia.
Avevo pensato di dirgli che ero Gianni Agnelli, padrone della FIAT, forse più potente ancora dello stesso Andreotti. Ma la sua voce era troppo nota, e non avrei saputo imitare la sua erre moscia, per cui decisi di essere suo fratello.
“Sono Umberto Agnelli, dissi infatti, e vorrei parlare con il Primo Ministro.”
Sorprendentemente (ma non troppo) dieci secondi dopo il Primo Ministro era dall’altra parte del filo.
Se gli avessi detto: sono Franco Berardi avrei detto la verità, ma il dipendente del Primo Ministro avrebbe riattaccato in malo modo.
Dicendo di essere fratello del padrone dell’azienda più potente d’Italia, che per di più era senatore della Democrazia Cristiana, partito di potere del quale Andreotti era il mammasantissima, il Primo Ministro accorse, e ci mettemmo a parlare. Parlai dell’insubordinazione degli operai di Torino e lui rispose che mi capiva, anche qui a Roma, mi disse…
Poi conclusi dicendo che nei reparti di Mirafiori si gridava Andreotti tu sei pazzo la classe operaia non pagherà più un cazzo.
Il primo Ministro a quel punto riattaccò. La cornetta, voglio dire, che andava di moda a quel tempo.
A Napoli qualcuno attaccò sui muri del rione Sanità un manifesto con il timbro della Prefettura che dichiarava: vista la situazione economica complicata il Ministero degli Interni decide che nella città di Napoli il prezzo della carne è dimezzato. Nelle macellerie napoletane quel giorno ci fu un certo trambusto.
Qualcuno si mise a stampare biglietti del treno. Era un’operazione semplice, in quei tempi pre-elettronici. Bastava fotocopiare un biglietto vero, moltiplicarlo per cento e dipingerlo con un inchiostro di un certo colore, e salire sul treno. Centinaia di studenti di scarse finanze poterono finalmente viaggiare su è giù per l’Italia.
Personalmente ricordo di aver potuto viaggiare fino a Londra con un biglietto del treno Bologna-Brig. Era sufficiente aggiungere quattro lettere (h-t-o-n) alla destinazione, e modificare il prezzo, e il gioco era fatto. Potevo prendere il treno per Brighton e scendere alla stazione di London Victoria.
Chiamammo questa tecnica falsificazione, ma qualcuno osservò che era solo un modo per rendere il mondo un po’ più accettabile, perciò anche più vero.
la rivista A/traverso, 1975-1979
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Tutto il Male del mondo
Poi venne Il Male.
Il Male fece di questa tecnica una linea programmatica.
Grazie al Male si scoprì che il capo delle Brigate Rosse era un noto comico di nome Ugo Tognazzi.
Grazie al Male si dissolse la Democrazia Cristiana, principale partito di governo.
Grazie al Male il campionato del mondo di calcio venne annullato.
Grazie al Male tutto il male del mondo veniva sconvolto, sospeso, vilipeso, e ridicolizzato.
Erano gli anni Settanta, che purtroppo finirono e lasciarono il passo agli Ottanta, quando sorniona ci stava aspettando l’oscena vendetta.
La vendetta della Realtà Vera.
Zbigniew Brzeziński, che per chi ha la memoria corta era segretario di Stato del presidente americano Carter, e raffinato intellettuale (infatti non era americano, ma polacco), scrisse un saggio in cui diceva che la politica del futuro apparteneva alla Simulazione. Il gioco del potere si stava trasferendo nel campo del linguaggio.
Jean Baudrillard scrisse uno dei suoi libretti sulla questione della simulazione, e Mario Perniola pubblicò un saggio dal titolo: la società dei simulacri.
Il Male proseguiva la sua corsa da un delirio all’altro, ma il gioco era stato scoperto, e poco alla volta il mondo vero scomparve per lasciar spazio alla Simulazione.
Fu infatti così che Ronald Reagan, il presidente hollywoodiano che di simulazione se ne intendeva, sconfisse i russi creduloni, che avevano resistito alle truci minacce occidentali.
Reagan raccontò in giro una favola: noi americani, disse davanti alle telecamere, stiamo producendo uno scudo stellare che impedirà alle bombe dei comunisti di raggiungere il nostro territorio.
Il panico si diffuse dalle parti del Cremlino, e l’accigliato generale Brezhnev diede ordine di moltiplicare gli sforzi, di gettare tutte le energie nella produzione di armi più potenti per superare lo scudo stellare americano.
Quel rimbambito di Brezhnev non aveva letto né Baudrillard né Paolo Fabbri, e ci cascò come un allocco. Tutte le forze del’Unione sovietica furono investite nella produzione di bombe sempre più perforanti, e per l’intero decennio lo sforzo fu tale che alla fine arrivò Gorbachev.
Il resto lo sapete.
Morale della favola: il sabotaggio comunicativo mise in moto la girandola dell’interpretazione. Quei piccoli ingenui falsificatori asserragliati in via Lorenzo Valla avevano dichiarato che la parola tesse trappole.
Le trappole si moltiplicarono, e negli stessi anni un gruppo di filosofi mise in giro la voce che il pensiero forte non andava più di moda, e che la verità dei fatti non contava più un fico secco, perché quello che conta sono le interpretazioni.
Molti anni dopo, uno di loro, un giovane filosofo simpatico di nome Maurizio Ferraris, che nel frattempo era un po’ invecchiato, fu preso da rimorsi esagerati, disse che è stata tutta colpa nostra, che abbiamo liquidato la verità degli enunciati e così abbiamo aperto la porta ai mascalzoni, insomma avevamo la responsabilità della vittoria politica di Berlusconi, mentre Federico Nietzsche era uno squilibrato che abbiamo commesso l’errore di prendere sul serio. Ferraris prese lucciole per lanterne e pensò che la filosofia avesse poteri che invece non ha.
Tranquillo Maurizio, non è colpa tua. Non è colpa dei filosofi e dei poeti se la realtà è labile, e i segni si inanellano e proliferano oltre il limite evanescente della verità.
Al massimo i filosofi possono ragionare su questo imbroglio, ma com’è noto Ambasciator non porta pena.
Dopo il Male che c’è?
Ma cosa è accaduto, a partire dagli anni ’80, quando Berlusconi con l’aiuto di Craxi si impadronì delle onde hertziane, le radio libere si trasformarono in televisioni private, e la Semiosfera si accelerò oltre ogni limite dell’umana capacità di decodificazione?
E’ accaduto che siamo usciti dal regno della comunicazione alfabetica sequenziale, e siamo entrati nel regno della comunicazione elettronica istantanea.
McLuhan, diavolo d’un uomo, lo aveva già detto nel 1964: “Quando la mediasfera entra nella dimensione dell’istantaneità elettronica il pensiero umano smette di esercitare la facoltà della critica e torna ad appartenere al campo della mitologia.”
Il mito e la critica sono due modalità del pensiero che proiettano immaginari differenti. La critica rende possibile la discriminazione tra il vero e il falso, tra il bene e il male, e quindi la decisione politica. Il mito non distingue, accoglie liberamente immaginazioni contraddittorie, corre contemporaneamente lungo binari divergenti.
Comincia così l’era del barocco elettronico.
Come nel secolo d’oro gli spagnoli conquistatori videro esplodere i limiti dell’immaginabile, ed entrarono nella cosmovisione barocca perdendo la ragione a favore della locura, così la moltiplicazione illimitata delle fonti di enunciazione mandò in frantumi i limiti della ragione critica.
Addio decisione politica ragionevole, addio modernità progressiva.
Ma come aveva previsto Francisco Goya nei suoi dibuyos oscuramente terrorizzati, il sonno della ragione critica genera mostri.
E allegramente i simulatori televisivi neoliberali ci condussero nell’universo mostruoso in cui quaranta anni dopo stiamo sprofondando.
Eccoci allora infine nell’universo del fake.
Dicono che in quasi tutti i paesi del mondo dei loschi individui piuttosto fascistoidi abbiano preso il potere raccontando balle. Donald Trump, per esempio, disse un giorno che per curare il Covid bastava bere del disinfettante. Neanche quei buontemponi del Male avrebbero potuto pensare una barzelletta così divertente, ma con simili trovate, Donald Trump è riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti d’America, cosa che non è mai riuscita a Vincenzo Sparagna e ai suoi MALEvoli sodali.
Ma sono davvero le bugie che permisero a Donald Trump di vincere le elezioni?
Non credo.
Un tizio che aveva aiutato Donald Trump a vincere le elezioni, un creatore di fake news che circolarono in decine di milioni di computer (tipo che papa Bergoglio aveva consigliato di votare per Donald) scrisse un giorno che certo lui aveva concepito e messo in rete molte fandonie, ma quello che lo aveva sorpreso di più era quanto stupida fosse la gente che gli credeva.
Insomma, la questione non è che negli ultimi decenni sono aumentate le notizie false. Quelle più o meno ci sono state sempre.
Quel che è successo di nuovo è che la mente collettiva ha perduto la capacità di distinguere tra il falso e il vero.
E perché? Mi chiederete voi.
La risposta è: l’accelerazione.
Nell’universo del fake non il messaggio, ma l’interpretante è il problema.
L’interpretante è il pubblico di milioni di persone che sono soggette al bombardamento costante e crescente di informazioni. Perché le informazioni, se ci pensiamo bene, non sono solamente immateriali segni veri o falsi. Sono anche degli stimoli nervosi.
Se moltiplicate lo stimolo per un milione di volte finirà che il povero ricevente non distingue più gli enuncianti in sequenza, non sceglie razionalmente tra alternative distinte, ma finisce per credere a chi fa più rumore.
Lo aveva detto quel diavolo di McLuhan: quando si passa dalla sequenzialità all’istantaneità, la critica va a farsi fottere.
Potremmo dire che nell’universo mediatico della scrittura (i libri, i giornali e simili messaggi testuali da leggere sequenzialmente, e magari da rileggere tre o quattro volte) quello che è in gioco è la persuasione.
La comunicazione politica moderna era finalizzata a convincere l’interlocutore, presentando ragioni e controragioni.
Ma se si accelera il ritmo dell’Infosfera, se il numero di messaggi che riceviamo durante il giorno passa da trenta a trecentomila, allora è difficile che si possa riflettere attentamente su ogni messaggio, e pensarci e ripensarci.
In un libro dal titolo Information anxiety (1990), Saul Wurman osserva che un attento lettore del new York times riceve tante informazioni (io direi piuttosto tanti stimoli neuro-informativi) quanto un uomo del milleseicento ne riceveva in tutta la sua vita cosciente. Saul Wurman definisce questo fenomeno come information overload.
Pensate un po’ se Saul avesse potuto contare gli stimoli informativi che riceve un ragazzino del 2024 in connessione perpetua nell’universo elettronico del digital networking.
E’ così che si passa dalla persuasione alla pervasione.
La mente del ricevente non deve essere persuasa poco alla volta, ma pervasa, invasa, bombardata fino al punto che il povero ricevente, imbesuito, finisce per dare retta a quello che fa più impressione.
E come sapete, Donald Trump, con quelle smorfie tremende, quei paroloni sconnessi, è certamente quello che fa più impressione di tutti.
Sempre più veloce
Uno studioso della comunicazione di massa che si chiamava Alex Robin ebbe l’idea di registrare le trasmissioni della televisione sovietica dei primi anni ottanta, poi registrò di nuovo le trasmissioni della televisione russa post-sovietica alla fine degli anni novanta. Scoprì che il ritmo dell’emissione linguistica era più che raddoppiato. Il mezzobusto della televisione sovietica parlava lentamente, persuasivamente, perché voleva convincere i poveri ascoltatori della verità ideologica del messaggio: voleva dare agli ascoltatori il tempo di meditare, convincersi, e obbedire.
Dieci anni dopo lo speaker della televisione commerciale che vendeva il nuovo prodotto post-ideologico doveva dire moltissime cose in un tempo sempre più breve. Il tempo è denaro.
E lo scopo principale del pubblicitario non è convincere, ma saturare l’attenzione, sopraffare lo spettatore con un flusso di suoni capaci di sommergere ogni capacità di critica, e capaci di suggerire soverchianti impressioni.
L’esperimento di Robin suggerisce una considerazione interessante a proposito della differenza tra persuasione ideologica e saturazione pubblicitaria: si tratta di due forme di colonizzazione della mente umana, naturalmente, ma sono diverse nella loro velocità e nella loro efficacia.
La pubblicità non è fatta per persuadere la gente, ma per catturare l’attenzione, e indurre a comprare qualcosa senza tante storie ideologiche.
L’attenzione diviene allora il campo di battaglia principale, nella sfera del Semiocapitale. Occorre al tempo stesso estendere lo spazio di attenzione intensificarlo. Più ore di attenzione all’universo degli schermi, e al tempo stesso un’attenzione più rapida, più prensile, più passiva.
La comunicazione politica non è più centrata sull’alternativa fra contenuti discorsivi, ma sul ritmo, sulla velocità.
A/traverso 1981/ GAME OVER
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Freaks everywhere
Il Male fu il punto di arrivo e di autocombustione di un movimento interno alla sfera dell’immaginario collettivo. Intorno a quella rivista orbita un mondo creativo vasto, ramificato nel campo del fumetto, ma anche della musica, della poesia.
Penso a cose come Cannibale, Frigidaire, Musica 80, ZUT, e soprattutto gli ultimi numeri di A/traverso, nei quali si preconizza tutto quello che è accaduto nei cinquant’anni successivi senza perdere la CALMA (Centro per l’Abolizione del Lavoro MAnuale).
La sfida semiotica si trasfuse dalle pagine ai corpi, alle strade, all’universo mondo. Come nel sogno dadaista l’immaginazione proliferò fuori dalla pagina.
L’avanguardia realizza così il suo sogno di emanare il mondo.
Ma di che mondo si tratta?
Se si tratta del mondo disegnato da Scozzari, Pazienza e Tamburini, non è proprio un sogno, ma piuttosto un incubo. In effetti nei decenni che seguono l’esplosione trasgressiva, la trasgressione divenne il plumbeo conformismo aggressivo che culmina nella motosega di Javier Milei.
L’estrema avanguardia, di cui Il Male fu il momento culminante (e più visibile) anticipò un movimento di massificazione della perversione trasgressiva: la musica, la moda furono un veicolo di diffusione dell’iconoclastia. Ma l’Iconofilia si preparava a trangugiare gli iconoclasti.
Delirante e metodico, il profluvio di creatività immaginifica degli anni ’77-83 funziona come un terminale schizo: cartografa contrade a venire che poi emergeranno nei primi decenni del secolo ventuno.
Oggi.
Nel corso del decennio Ottanta l’iconofilia televisiva prese il sopravvento, ingoiò l’iconoclastia come gioco, e trasformò l’ironia in cinismo.
Le immagini proliferarono con velocità crescente per tre decenni, fino a riempire lo spazio mentale delle generazioni del nuovo millennio.
L’estrema avanguardia aveva dichiarato estinta la Dittatura del Significato (l’ideologia, l’etica borghese). Ma nel nuovo secolo ci si trova incapsulati nella dittatura del non senso.
Sono saltati i limiti dell’interpretazione (il professor Eco, col suo ditino alzato, lo aveva scritto in un libro meraviglioso che si chiama proprio così: I limiti dell’interpretazione).
La libertà dal senso si sta rivelando una dimensione pericolosa.
Libertad Libertad è il grido delle migliaia di giovani che affollavano la piazza del trionfo di Javier Milei, il 10 dicembre del 2023.
In questo spazio di libertà il più forte trasforma gli altri in schiavi.
In questo passaggio (dal significato alla polisemanticità del non-senso) si formano le condizioni per la Dittatura Memetica.
Il meme, contrazione rapidissima di una molteplicità di riferimenti immaginari, politici, sessuali, è stato sperimentato dapprima in quel laboratorio italiano post’77.
Poi, del meme, se n’è impadronita la pubblicità, poi è arrivata Internet e il Meme corre lungo le antenne della mente globale.
Just do it.
L’accelerazione dichiara il divorzio dal pensiero, dalla ragione, dalla riflessione. Non pensarci, fallo e basta.
Il freak, questa figura marginale e libertaria che incarna l’anticonformismo radicale, diviene il modello universale della lunpen-borghesia universale.
Una borghesia che ha perduto memoria della sua tradizione, e di ogni altra cosa, eccetto il denaro.
Una borghesia piena di tatuaggi.
Che vuol dire che Il tatuaggio invade lo spazio visivo?
Perché i corpi si trafiggono con piccoli aghi sporchi di inchiostro per farsi segni, per semiotizzarsi?
Il tatuaggio fu segno di trasgressione (nella primavera del 1972 conobbi un ragazzo con un’enorme aquila tatuata sulla schiena. Eravamo compagni di cella in un carcere italiano, e lui scontava una pena di quattordici anni per rapina a mano armata). Adesso è un segno di assoluto conformismo.
Si soffre pur di potersi trasformare in segni.
La sessualità si iper-semiotizza, fino a scomparire in un vortice di nulla.
Sempre più spesso camminando per strada in mezzo a frotte di studenti post-zanardeschi, orde di turisti vestiti come personaggi di Penthotal, provo la sensazione di vivere e camminare in un mondo immaginato e disegnato da Andrea Pazienza.
Quando un gruppo di ragazzi al bar della scuola si accrocchia scambiano parole che discendono dal linguaggio di Pompeo, l’hip hop tradotto in romanesco, pugliese, bolognese, o poliglotta
(io pe’ te me strizz’ y mi strazz’
Und du fur mich manc’p’o cazz)
Quando leggo messaggi in TikTok che sono tratti da Perché Pippo è uno sballato, allora mi rendo conto di cosa voleva dire William Burroughs quando diceva che i poeti sono emanato di mondi, e che Kerouac ha fatto dei blue jeans quello che i blue jeans onor diventati nella pop culture globale.
Cosa c’è nell’epoca regressivo psichedelica in cui viviamo che la rende così simile al mondo che Paz prefigurò?
C’è questo: che l’umano si sfarina, perde integrazione, insomma si disintegra e lascia venir fuori la trama segreta della chimica psichica, delle droghe, delle sostanze, dei flussi che circolano nel cervello collettivo.
All’aeroporto di Split, in mezzo a una folla di tatuati che aspettano il boarding. La temperatura sale verso i trentotto gradi ma qui dentro siamo protetti dalla gelida aria condizionata. Un piccoletto con i calzoncini corti porta una maglietta celeste con su scritto in rosso: Prepare- Attack- Destroy.
Una ragazzetta dai capelli azzurri porta una maglietta con su scritto: I’m easy but too busy for you.
Mi chiedo cosa avrà da fare di tanto urgente.
Al vertice NATO di Washington promettono Zelenskyy che vincerà, ma nessuno sa come. Modi sbarca a Mosca nel nome dell’unità di tutti i nazisti del mondo contro tutti gli altri nazisti del mondo.
La guerra che si prepara per i prossimi mesi sarà nucleare, ma in fondo amichevole.
Ti sei mai chiesto perché il capitalismo ha vinto, alla fine della storia? (Tant’è vero che la storia è alla fine).
Perché ha saputo trasformare in (plus)valore la trasgressione semiotica illimitata.
Che essendo illimitata vedi dove è andata a finire: nel nulla.
11 luglio 2024
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