che fare della disperazione?
un testo di Amador Savater: l'impotenza e la disperazione. In fondo la versione francese di AMALEK
Che fare della disperazione? Che fare con la sensazione fisica che non c’è via d’uscita, che nulla cambierà sostanzialmente la situazione in cui ci troviamo, perché non è possibile farlo.
La disperazione non sparisce con decreti legge, ragionamenti o spiegazioni. È una cosa del corpo, è attaccata al corpo.
La disperazione oggi si traduce ovunque in aggressività. L’impotenza dei forti – “niente è più come prima” – si trasforma in guerra contro i più deboli. E la disperazione dei deboli reagisce con il tentativo di vendicarsi: Netanyahu e Hamas, il circolo è infernale.
Le stesse figure talvolta condensano i due movimenti. Trump e Milei sono entrambi uno strumento di aggressione dei forti contro i deboli e uno strumento di vendetta per i deboli... Contro chi? Contro la casta politica, la classe media, chi ha lavoro, la democrazia e le sue promesse frustrate, ecc.
Come si ferma una psicosi di massa come si cura un delirio)? Come sfuggire cioè al contagio della disperazione aggressiva o vendicativa? Questa sarebbe la questione principale di una politica che vada oltre la politica, una politica che sappia ascoltare e dialogare con i corpi, con ciò che accade nei corpi.
Sì, possiamo
Penso al primo momento del “yes we can”: le piazze, le maree, le assemblee di quartiere. La disperazione sociale, di fronte ai tagli, alle privatizzazioni e alla precarietà selvaggia, invece di tradursi in vittimizzazione e vendetta, si è trasformata in azione, solidarietà, pensiero, riconnessione. L'effetto di quella trasformazione fu la gioia.
La visione tradizionale cercava di interpretare tutto come un nuovo movimento politico, interrogandosi sull’organizzazione, sul programma e sul leader. Ma era piuttosto una terapia sociale. Un saper fare, creativo e collettivo, con disagi, corpi, vite danneggiate. La migliore terapia mentale non ha bisogno di prescrizione medica, ce la procuriamo a vicenda.
Quella politica al di là della politica aveva una sua efficacia, invisibile alla politica tradizionale. Mentre l’ombra fascista già cresceva in Europa, la Spagna rimase controcorrente per alcuni anni preziosi. Vox era impensabile e impossibile nel clima affettivo del 15M.
Diverso è stato il secondo “sì, possiamo” (quello dei partiti Nuova Politica). Mentre le piazze trasformavano la disperazione in attività, i partiti trasformavano la disperazione in Speranza: promessa, speranza e fede. Credere.
Sì, puoi... vincere. Tutti allora – anche i più autonomi – sono impazziti, incantati dal linguaggio del trionfo. Per vincere che bisogna fare? Elezioni, come via per accedere al potere. Attraverso la battaglia culturale, la battaglia per credere. Attraverso i leader, che fanno appello al nostro entusiasmo.
Credi, credi ancora. Nei leader che (questa volta) ci rappresenteranno, nei partiti, nel potere politico, nella democrazia. La terapia sociale, quel tessuto di azioni concrete, pensieri, legami e solidarietà, si è indebolito, è scomparso. La speranza restava, ognuno isolato davanti al proprio schermo. Fede in una salvezza delegata ad altri. La credenza.
L'eccitazione, come al solito, si è conclusa con la delusione. Le grandi aspettative portano a nuove frustrazioni. La speranza ricadde nella disperazione. Una disperazione che oggi gira a destra. È noto che i disperati hanno votato in massa per Milei: gli umiliati, gli affranti, i rovinati materialmente e mentalmente.
Anche se oggi la materialità dei loro tagli esplode contro di loro, Milei mantiene la sua popolarità. Sì, è possibile: in 30 o 40 anni di sacrifici l'Argentina recupererà la grandezza che aveva alla fine del XIX secolo. Anche i rovinati credono, credono ferocemente nella salvezza dalla catastrofe, dall'esplosione, dalla fine del mondo.
Non possiamo
È possibile radicalizzare la disperazione? Non serve sfuggire alla disperazione attraverso la Speranza, quella “immaginazione che riempie il vuoto” come dice Simone Weil in Gravità e grazia, uno dei migliori libri scritti sui meccanismi della disperazione: occorre sopportare il vuoto.
Cosa significa sopportare il vuoto? Contro la promessa del potere, volontà di trionfare e trionfo della volontà, far fronte al vuoto significa accettare che non possiamo (tutto) e che nessuno può per noi, senza di noi.
I nostri tempi sono malati di “sì, possiamo”. Di fronte al “volere è potere” come mandato dell’epoca che ci stressa e ci sfianca, occorre assumere l’impotenza come leva, misurarsi con l’impossibile e il tragico.
Rassegnazione? No, piuttosto radicalizzazione della disperazione. Rifiuto di credere in qualche consolazione, in qualche illusione volontaria, in qualche promessa politica. Si può immaginare un politico che non chieda la nostra fede, la nostra disponibilità a illuderci? Un politico che dica: non si può, liberandoci dalla necessità di credere e così liberando la attività?
Distruggiamo la Speranza come aspettativa e convinzione, affinché le speranze con la minuscola possano forse emergere dal vuoto. Questo è ciò che Herbert Marcuse legge in Samuel Beckett: solo nell'estremo della disperazione, una volta distrutte tutte le illusioni, si può ritrovare l'inizio della speranza.
O forse l’essere umano è condannato alla fede? La fede è indistruttibile? Disperato, ancora uno sforzo! Non è possibile farlo. Podemos non può, neanche Milei potrà.
Anche l'apocalisse delude. Non esiste soluzione, solo attività.
Fragile ISTUBALZ
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AMALEK in FRENCH
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