La spada di Damocle
gli studenti del Liceo Minghetti di Bologna hanno occupato la loro scuola per discutere del loro futuro. Sarebbe sommamente diseducativo prendere provvedimenti disciplinari contro di loro.
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Sono un insegnante in pensione della città di Bologna. Per trent’anni ho insegnato negli istituti della mia città.
Tra il 1963 e il 1967 ho studiato al Liceo Minghetti di Bologna.
Nella primavera del ‘67 partecipai a uno sciopero convocato dall’assemblea cittadina degli studenti medi. Intendevamo protestare contro la guerra nel Vietnam. Come sappiamo quella sporca guerra finì male per gli americani, e da allora chiunque parli di quella sporca guerra la considera come una macchia sulla coscienza degli americani e degli occidentali in generale.
In seguito a quello sciopero il preside Zerbetto mi sospese per tre giorni per aver partecipato a quello sciopero, e convocò mio padre.
Mio padre, che era insegnante elementare, si presentò davanti al preside e gli disse di essere orgoglioso di suo figlio. Per quanto mi riguarda io ero allora e sono ancora oggi orgoglioso di mio padre.
Sono passati sessant’anni e la guerra, che per tanto tempo abbiamo considerato come un incubo da dimenticare, sembra essere tornata.
Una guerra sporchissima contro i bambini e le donne di Gaza e dei Territori palestinesi. Una guerra idiotissima alle frontiere d’Europa, provocata dall’invasione russa e dalle provocazioni americane.
E adesso la guerra è una spada di Damocle che incombe sulla testa dei ragazzi che vanno a scuola per apprendere la storia della civiltà, ma sono chiamati a partecipare alla corsa verso l’inciviltà delle armi, della violenza, della guerra.
Sarebbe tremendo se gli studenti accettassero il destino di morte senza discutere, senza protestare.
Grazie al cielo una parte degli studenti ha invece consapevolezza del pericolo e rifiuta di considerare naturale e inevitabile l’orrore, la violenza, l’inciviltà.
Per questo spero che nessuno dei miei colleghi insegnanti del Minghetti commetta l’imperdonabile errore di punire il coraggio civico di chi ha occupato la scuola per riflettere e per protestare.
Per questo ringrazio gli studenti del Minghetti per non accettare che la demenza della guerra si impadronisca delle loro vite (e delle nostre) senza fiatare.
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Appello alla cittadinanza per chiedere il ritiro delle sanzioni disciplinari comminate contro gli studenti occupanti del Liceo Minghetti
Studenti del Liceo Minghetti di Bologna
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Siamo gli studenti del Liceo Minghetti che martedì 18 Marzo hanno deciso di occupare la propria scuola per esprimere il nostro dissenso al riarmo europeo, al DDL sicurezza 1660, alla riforma della scuola Valditara e alle complicità del nostro governo con la pulizia etnica in corso contro il popolo Palestinese, in particolare in questo difficile momento dopo la rottura della tregua operata da Israele.
Queste questioni incombono sul nostro futuro come una spada di Damocle e abbiamo sentito la necessità, ma anche il dovere, di far sentire la nostra voce. È proprio la nostra scuola che ci ha fornito gli strumenti di riflessione e critica della realtà che ci hanno spinto a mettere in discussione il nostro presente: strumenti come la Filosofia, la Storia e la grande letteratura del passato. Ma in una scuola che ci insegna a interrogare e contestare, con impegno e coraggio, il mondo che ci circonda, il nostro gesto ha incontrato un atteggiamento opposto.
Già nei giorni precedenti, mentre girava la voce di una possibile occupazione, il Preside aveva minacciato conseguenze legali per chi vi avesse preso parte e, a occupazione cominciata, invece di fare denuncia contro ignoti come da prassi consolidata per le occupazioni ha deciso di denunciare arbitrariamente pochi di noi (ancora ignoti) come responsabili dell’atto. Questa settimana inoltre il collegio docenti si è espresso a favore di sospensioni e 6 in condotta a una dozzina di studenti, nonostante nessuno fuorché il preside sia a conoscenza di chi siano questi “colpevoli” o secondo quale criterio siano stati individuati.
Questa reazione ci ha profondamente delusi: con questo gesto chiaramente non si vuole né insegnare né educare. Si vuole piuttosto punire la protesta e l’espressione del proprio dissenso facendo di pochi un esempio per intimidire tutti, tutto dietro la già vista retorica reazionaria della "maggioranza silenziosa", che secondo il Preside avrebbe voluto andare a lezione.
Sì, abbiamo lasciato la scuola per quattro giorni senza latino e greco e Dante e Ariosto. In quei quattro giorni abbiamo discusso tra noi, mettendo in dubbio la realtà che ci circonda, imparando a solidarizzare per agire nel concreto. L’abbiamo fatto perché la democrazia non sta nel crudo volere della maggioranza, ma anche nella possibilità di contestarla. Chiediamo quindi scusa se Cicerone per qualche giorno non ha potuto parlare nelle nostre aule, ma il nostro agire ci è sembrato più importante ed urgente, perché sentiamo di dover prendere in mano il nostro futuro.
Con questa lettera intendiamo rivolgerci a tutti i cittadini e i sinceri democratici che provano come noi disappunto ed indignazione per le cinque denunce e desiderano aderire, firmando questo appello, ad una richiesta alla scuola di ritirare le sanzioni disciplinari proposte dal collegio docenti.
Grazie dell'attenzione
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La lettera di una studentessa della 3b che ha partecipato all’occupazione
Carissime professoresse e carissimi professori,
Vi scrivo per condividere alcune riflessioni maturate a seguito dell’occupazione studentesca a cui ho partecipato la scorsa settimana. La stima e la fiducia che ho costruito nei vostri confronti in questi anni mi spingono a esprimere il mio punto di vista, non per giustificare un’azione, ma per aprire un dialogo su ciò che questa esperienza ha rappresentato per me. Come potete immaginare questa non è stata una scelta presa con leggerezza ma un’azione che ho ritenuto essere moralmente necessaria data la situazione di estrema emergenza e pericolo in cui ci troviamo come umanità.
"Mi avete insegnato l’importanza di agire”
Questa mia urgenza di agire è qualcosa che ho acquisito negli ultimi cinque anni grazie anche alle preziosissime lezioni impartite da voi Professori. Vi ringrazio perché mi avete insegnato il valore del pensiero critico, dell’etica e della partecipazione. Abbiamo studiato l’importanza storica di agire e lottare soprattutto nei periodi di massima repressione del dissenso, abbiamo imparato ad apprezzare la democrazia come forma di governo composta di cittadini che agiscono per un bene comune, abbiamo esaminato la fondamentale differenza tra i filosofi che elevano il sapere al di sopra della realtà pretendendo che i pensatori non intervengano nei processi storici ma che li studino come una “nottola di Minerva” solo una volta conclusi, e i filosofi che incitano gli studiosi a mettere a disposizione la loro conoscenza per migliorare le condizioni dell’uomo.
"Così Platone e Kant hanno trovato applicazione”
In classe ci invitate a riflettere profondamente sulle nozioni presenti nei libri di testo, rendendo il tutto meno piatto e astratto e facendo assumere a ciò che studiamo forme diverse e concrete. Ci aiutate a creare nessi logici e ad analizzare la realtà in cui viviamo con gli strumenti della conoscenza e del sapere. Ci avete insegnato che le grandi opere sono tali perché sono sempre vere. Se studiamo Platone e Aristotele per comprendere le basi della politica, se leggiamo Sofocle per riflettere sulla giustizia, se analizziamo Marx e Kant per capire il rapporto tra potere e libertà, allora è giusto che quegli stessi insegnamenti trovino applicazione nella realtà. Leggere L’Antigone tradotta da Jean Anouilh dimostra la grande attualità dei suoi temi, che valevano nel 442 a.C., nel 1931 e valgono ancora nel 2025.
"Non ci sia incomunicabilità fra noi”
Antigone, nel dialogo con Creonte, incarna l’incomunicabilità di chi lotta per valori profondi e irrinunciabili di fronte a un potere rigido e sordo.
Ed è così che ci sentiamo noi studenti di fronte alla rabbia cieca delle forze dell’ordine, di fronte alle deportazioni a cui sono soggetti i nostri coetanei negli Stati Uniti in questo momento, di fronte all’indifferenza totale e alla complicità del nostro governo in un genocidio che sta uccidendo migliaia di ragazzi come noi.
Non vi scrivo con la pretesa di convincervi che ciò che abbiamo fatto sia giusto e neanche con la pretesa di avere ragione. Spero soltanto che questa incomunicabilità non trovi spazio nel nostro rapporto, spero che ci vediate come studenti razionali che si stiano impegnando per diventare cittadini attivi con gli strumenti che abbiamo a disposizione e non come una “minoranza incapace di contribuire al dialogo civile e democratico […] che ha interrotto per più giorni un pubblico servizio, calpestando i diritti della stragrande maggioranza della comunità scolastica”.
"Rabbia e delusione condivise”
Negli ultimi anni l’unica cosa che mi ha dato speranza è stata la consapevolezza di non essere l’unica a provare rabbia e delusione. Vedere altri condividere questo sentimento, pur esprimendosi in modi diversi, è stato per me fondamentale. La realtà è che siamo giovani e come tali stiamo ancora imparando a tradurre la nostra indignazione in gesti efficaci. La cosa importante è che ci stiamo provando: ogni tentativo, anche imperfetto, è un passo verso una consapevolezza più matura e un’azione più incisiva.
Alice Panzeri, 3B
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vicolo Broglio, Bologna
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Testo del professor Stefano Mari,
per molti anni Preside in diversi Istituti della città di Bologna
Sottoscrivo convintamente l'appello alla cittadinanza degli studenti e delle studentesse del Liceo Minghetti, e invito a mia volta a firmarlo. Aggiungo poche considerazioni. Nel testo si parla di sanzioni disciplinari e di denunce penali a loro carico. Entrambe queste ipotesi vanno contestate. Il DS ha convocato in data 22 marzo un Collegio dei docenti straordinario che si è tenuto effettivamente il 25 marzo, con un unico punto all'ordine del giorno, che trascrivo: "Provvedimenti di ordine disciplinare ed eventuali interventi didattico-pedagogici in seguito all'occupazione dell'Istituto". Si tratta di un tentativo del tutto palese di condizionare pesantemente i Consigli di classe che dovranno poi deliberare sulle ipotesi di sanzioni disciplinari. Il Regolamento di Disciplina del Minghetti, visibile sul sito web della scuola, contiene effettivamente un punto relativo alle Infrazioni di tipo disciplinare da sanzionare: "interrompere lo svolgimento dell'attività didattica, ledendo il diritto allo studio dei compagni sancito dalla Legge e dai Regolamenti dell'Istituto e il diritto al lavoro del personale docente". In sé il punto è discutibile, perché altri pronunciamenti ben più autorevoli esprimono un punto di vista tutt'affatto diverso: traggo da Edscuola.it che "la Procura della Repubblica di Roma ha richiesto l’archiviazione dei fascicoli per reati imputati ai ragazzi/e in merito alle occupazioni studentesche che perdurano da mesi (anno scolastico 2021/2022) nella capitale d’Italia, in quanto questi ultimi non integrano il reato di interruzione di pubblico servizio: «gli studenti devono essere considerati soggetti attivi della comunità scolastica e partecipi alla sua gestione». Si stimano coinvolti dall’inizio di ottobre, numerosi Istituti scolastici autonomi (circa cinquanta) del centro e della periferia di Roma". Quindi è la stessa Magistratura, o almeno la parte di essa qui rappresentata, che inquadra una occupazione di scuola, tanto più se preceduta dalla pubblicazione, come nel caso del Minghetti, di un articolato documento politico, come un indice di partecipazione e di attivismo sostanzialmente apprezzabile e comunque non illegittimo. Si tratta poi da un punto di vista puramente pedagogico di decidere se una scuola debba proporre un'educazione alla cittadinanza attiva e consapevole o una mera e acritica enfatizzazione al rispetto delle regole (della Legge con la maiuscola, in questo caso). Lo stesso Regolamento poi afferma che "nessuno può essere sottoposto a sanzioni senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni". Ma qui sembra che il DS abbia inteso condizionare il corpo docente a prescindere da qualsiasi ragione esprimibile dai soggetti passibili di sanzione. Si tratta allora di un sostanziale corto circuito che tenta di bypassare i tempi e modi corretti di un procedimento disciplinare garantista in favore di una pregiudiziale affermazione di colpevolezza. Nel documento si parla anche di una decisione del DS di "denunciare arbitrariamente pochi di noi (ancora ignoti) come responsabili dell'atto". Trovo questa ulteriore decisione ancora più sbagliata. Chi lavora nella scuola può venire a conoscenza di fatti riconducibili a fattispecie penali. In questo caso si tratta di un'occupazione che in quanto tale non dovrebbe essere configurata come reato. Può capitare però che all'interno della scuola avvengano altri fatti che rientrino ad esempio nel danneggiamento o in altre ipotesi di reato. Il DS è tenuto ad informare di questo la magistratura, che con gli organi di Polizia giudiziaria porterà avanti una legittima indagine. Ma è inappropriato che sia la scuola stessa a indagare ed emettere un primo giudizio di colpevolezza su un gruppo di alunni, fornendo agli organi competenti una propria ipotesi giudiziaria. In questo modo si abdica alle propria funzione strategica di istituzione educante in favore di una ben più avvilente funzione giudicante. Ciò inevitabilmente interrompe il rapporto fiduciario che lega discente e docente introducendo un rapporto ben più infecondo di diffidenza reciproca, alterità e in ultima analisi di opposizione. Sono ancora in tempo le insegnanti del Minghetti a correggere un così marcato passo falso? Sicuramente sì, andando nel senso di rinunciare alla repressione e accettare il dialogo che viene proposto
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una scritta in via Valdonica, Bologna
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