L'incubo ipnocratico
Il libro di un autore misterioso ci porta al cuore dell'incubo in cui il simulacro ci ha trascinato. A svegliarci sarà una tragedia cui non potremo sfuggire.
Bologna, Via del Pratello
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Chi sia Jianwei Xun non saprei dirlo. Segej Debunker mi ha fatto notare qualche giorno fa che In Wikipedia c’è scritto che questo Jinwei Xun ha collaborato alla stesura di uno dei miei libercoli, Come si cura il nazi. Io non lo ricordo, e sospetto che Jianwei Xun non esista. Ma se non esiste, allora chi lo ha scritto questo libretto dal titolo IPNOCRAZIA edito da Tlon (lo stesso editore che qualche anno fa ha ripubblicato per l’appunto Come si cura il nazi)?
Da quando, qualche decennio fa, conobbi Luther Blissett, ho imparato che l’Autore è una figura piuttosto elusiva. Da quando poi l’evoluzione tecnologica ha portato alla creazione di intelligenze artificiali ho cominciato a comprendere che il linguaggio si è separato dal locutore e procede per forza propria, avviluppandoci in un labirinto dal quale temo che non usciremo.
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Il tema di cui parla Jianwei Xun è di grande attualità: l’architettura stessa della realtà sembra essere ridefinita da una mutazione percettiva e proiettiva. Secondo Xun dobbiamo partire proprio da questo, dal carattere ipnotico della percezione per comprendere la travolgente rivoluzione reazionaria che ha raggiunto il suo culmine nei giorni dell’insediamento di Trump alla casa Bianca, e che rischia di accompagnarci a lungo, forse per tutto il tempo in cui vivremo.
Ma viviamo?
A proposito, viviamo davvero, oppure tutto questo in cui ci aggiriamo è soltanto un incubo, un sogno brutto dal quale non riusciamo a risvegliarci?
E’ questa la domanda con cui Xun inizia il suo ragionamento, in questo libretto scritto in modo rapido, quasi telegrafico.
“I modelli linguistici di ultima generazione non si limitano a rispondere alle domande: modulano sottilmente il loro output per mantenere l’utente in uno stato di ipnosi ottimale. La loro fluenza apparentemente normale è in realtà una tecnica ipnotica perfezionata.” ( Ipnocrazia, Tlon, 2025, pagina 23).
Xun parla qui dei chatbot che negli ultimi due anni hanno invaso il mercato dell’attenzione, popolarizzando l’Intelligenza artificiale.
Il dispositivo di automazione linguistica è il compimento di un processo di automazione della percezione, della proiezione e della (semi)coscienza: la nostra capacità di produzione linguistica, di conversazione, è sostituita dall’automa, così che l’automa è destinato a occupare per intero le nostre capacità cognitive, ad accelerare la mutazione cognitiva ed emozionale che ha investito la generazione che è stata generata (messa al mondo, diciamo) nel secolo ventuno.
Jianwei Xun parla dell’automa linguistico come di un ipnotizzatore, e scrive a questo proposito:
“Come resistere a un ipnotizzatore che non dorme mai, non si stanca mai, e può personalizzare la sua induzione per ogni singolo soggetto? Come mantenere la lucidità di fronte a un sistema che può produrre infinite varianti di contenuto ipnotico, ciascuna calibrata per aggirare le nostre difese specifiche?” (Ipnocrazia, cit, p. 23)
Secondo Xun c’è poco da fare, per gli umani la partita è persa. Non abbiamo nessuna possibilità di sottrarci al sistema ipnocratico, nel quale siamo entrati semi-consapevolmente, come si entra nella sfera onirica. Xun non ci lascia speranza, ma ci dà alcuni consigli.
“La chiave sta proprio nel riconoscimento della natura ipnotica dell’IA. Non dobbiamo né demonizzarla come distopia totalitaria né celebrarla come utopia tecnologica: dobbiamo comprenderla come un nuovo campo ipnotico con cui dobbiamo imparare a evolvere.” (Ivi).
Il fantomatico Xun sintetizza e riprende le riflessioni svolte negli ultimi decenni da molti teorici, a cominciare da Jean Baudrillard, fino a Biong Chul Han, autori con i quali Jinwei Xun avrebbe collaborato, come apprendiamo da Wikipedia (ma io mi permetto di dubitarne).
Partendo dalle analisi svolte a proposito dei media, dalla televisione a Internet ai social network fino ai chatbot, Xun giunge alla conclusione che
“L’Ipnocrazia non crea ideologie. Satura. Il suo metodo non è censurare, ma sovraccaricare… L’Ipnocrazia non ci governa, ci trasforma in parte di se stessa.” (Ivi, pag. 33).
Su questo punto credo che Xun abbia proprio ragione. Nel tempo passato il potere politico ed economico usava i media come strumenti per la persuasione. Nella sfera dell’automa che Xun definisce Ipnocrazia il potere si confonde con la macchina linguistica, e opera attraverso la pervasione, non attraverso la persuasione. Di conseguenza non si propone di convincerti, né di reprimere coloro che la pensano diversamente. Si propone di saturare l’attenzione così da rendere inoperante la facoltà di pensiero - che infatti sta scomparendo dalla scena dell’umano.
L’infosfera emette una quantità di segni talmente rapidi intensi e numerosi da sommergere la mente individuale con un flusso che giunge a saturare l’attenzione, e a paralizzare ogni capacità critica.
“Non si tratta soltanto di condizionamento comportamentale; è una vera e propria ingegneria della coscienza condivisa dove l’umano e la macchina entrano in un processo di mutua definizione.” (35).
Coloro che sono cresciuti fin dalla più tenera infanzia in un ambiente saturo di congegni elettronici, e sono stati formati da flussi di semiosi elettronica, hanno subìto, secondo Xun, una vera e propria riconfigurazione psichica che coinvolge il desiderio stesso.
“Non si tratta, scrive, soltanto di edonismo o dipendenza: è una ristrutturazione radicale di come opera il desiderio stesso… Ogni scroll promette la prossima scarica di dopamina, eppure il piacere non è nel contenuto ma nel perpetuo movimento di ricerca.” (Pag. 87)
Parlerei di iper-semiotizzazione del desiderio, e di continuo rinvio virtualizzante del piacere, o piuttosto di sostituzione del piacere carnale con scariche di dopamina costantemente rinnovate. Xun parla invece di “uno stato di trance del piacere: non godiamo attivamente, dice, ma siamo sospesi in uno stato di quasi-godimento.” (87)
Sia come sia, quel che accade è una de-carnalizzazione del desiderio, che trasferisce il piacere dal piano del contatto sociale, erotico, al piano della scarica dopaminergica senza corrispettivo carnale.
La conclusione cui Xun ci conduce è in qualche modo tranquillizzante, o per lo meno pacificante. Non c’è nessuna possibilità di sfuggire a questa nuova configurazione irrealizzante del desiderio, e in generale dell’esistenza. Dunque dobbiamo giungere alla conclusione che:
“La simulazione non è il nostro nemico, ma il nostro ambiente.” (58)
L’analisi di Xun è convincente. Tutto a posto, dunque?
No.
L’analisi del fantomatico Xun non descrive che una faccia della questione della soggettività contemporanea. Perciò mi convince a metà, perché l’altra metà Xun non la vede, non la conosce, comunque non ne parla.
Xun descrive la superficie comportamentale della mutazione linguistica e cognitiva, ma non compare mai, neppure una volta, se non vado errato, la parola: “corpo”.
Perché Xun non sa nulla del corpo? Mi sorge quasi il sospetto che non parli mai del corpo perché non ne sa nulla. Probabilmente non ce l’ha. Ma chi è allora Xun se non possiede un corpo?
Nel libro non troviamo mai né la parola sensibilità, né la parola dolore.
Tutto va bene: nella dimensione ipnocratica non c’è modo di sottrarsi al ciclo ininterrotto e ineludibile di stimoli e reazioni che che si modellano a vicenda e di conseguenza si compenetrano perfettamente.
Ma nel libretto di Xun, mi dispiace doverlo dire, manca il mal di denti.
L’automa linguistico sa tutto del mal di denti, intendiamoci, vi può offrire una bibliografia completa sull’argomento, e anche l’indirizzo di un buon dentista vicino a casa vostra. Ma il mal di denti non sa cosa sia, e se per disgrazia vi viene il mal di denti tutta la perfezione ipnocratica di cui parla Xun va a farsi fottere.
E il mal di denti non è il peggiore dei mali di cui l’automa sa tutto ma non esperisce niente. Allo stesso modo l’automa non esperisce né la solitudine né la violenza, né la fame né il freddo, né la guerra.
Per questo il libro di Xun ci spiega tutto ma non ci serve a niente. La tecno-ipnosi ci avviluppa nelle sue spire derealizzanti, ma non appena suonano le sirene che annunciano il bombardamento l’esercito degli ipnotizzati si sveglia terrorizzato, oppure l’ipnotizzato si butta sotto un treno perché la solitudine sessuale produce nel suo cuore un oceano di tristezza, oppure deve pedalare come una bestia dalla mattina alla sera sotto il sole cocente e sotto la pioggia per guadagnare un salario precario e miserabile.
Questa realtà - cioè LA realtà sfugge all’ipnocrazia perché l’automa digitale non ha corpo. Nel libro di Xun il corpo è evacuato, dimenticato, sublimato.
Ma non per questo ha smesso di esistere, e per quanto ipnotizzati possiamo essere, la fame la sete il freddo il dolore, e la guerra - costringono la soggettività ad accorgersi dell’avere un corpo.
E costringono l’anima a sprofondare nella depressione, che non è solo uno stato immateriale, ma un tormento che spesso spinge la gente a piangere, e talvolta anche a buttarsi da una finestra del quinto piano.
Il dolore
Viviane Sobchack, critica culturale e cinematografica, pubblicò nel 2004 Carnal Thoughts. In polemica con le tesi Jean Baudrillard, che già negli anni Settanta parlava di sostituzione dell’esperienza con la simulazione, Viviane Sobchack ci ricorda che il dolore risveglia l’organismo dal suo letargo iper-connettivo.
A Baudrillard, che nei suoi libri dei primi anni ’80 parla di scomparsa del reale, Vivian Sobchack risponde:
“Non c’è niente come un pur piccolo dolore per richiamarci alla realtà dei nostri sensi, e contrastare il romanticismo della trascendenza tecno-sessuale che caratterizza gran parte del discorso contemporaneo sul techno-body virtuale.” (Carnal thoughts, University of California Press, 2004Pag. 167)
Vivian Sobchack parla e scrive nella condizione di chi ha subito nella sua carne l’inserzione dell’inorganico. In seguito a un incidente la scrittrice subì tre successive operazioni chirurgiche, l’amputazione di una gamba e la sostituzione della gamba con una protesi.
“Diventai effettivamente un corpo tecnologico e provai le dimensioni assortite del piacere prostetico. Dopo varie ricorrenze del cancro e tre operazioni chirurgiche mi amputarono la gamba sinistra sopra il ginocchio così che imparai a usare e godermi la sostituzione prostetica.” (Sobchack, 168)
Quando il dolore fa la sua comparsa, dice Sobchack, siamo costretti a uscire dall’ipnosi tecno-virtuale: quella di Sobchack rimane - venti anni dopo la pubblicazione di Carnal Thoughts, la migliore critica della tecno-ipnosi di cui parla Xun.
Nella solitudine digitale c’è soltanto l’individuo con il suo cellulare iper-connesso, e il mondo virtuale nel quale tutto è previsto, e tutto è perfetto, perché il codice generativo ha tolto di mezzo ogni possibile asperità e ogni imprevisto. Ma ecco che compare il mal di denti, o un incidente automobilistico, o una bomba israeliana, o un incendio che ingoia tutto il vostro quartiere. Ecco il dolore, e allora l’ipnosi va a farsi fottere, checché ne dica Jinwei Xun.
Il dolore testimonia dell’esistenza dell’altro, dell’esistenza del nostro corpo come alterità. Il dolore è il ritorno della storia, della sua innegabilità, della sua verità testarda: la storia ferisce, riportando il corpo decarnalizzato alla sua incancellabile carnalità.
“La storia è ciò che fa male. Ciò che ferisce ci rimanda forzatamente alla nostra immanenza, al reale, e alla necessità fisica della nostra intrinseca “capacità di risposta”… Così il dolore acuto, i dolori sordi e l'intorpidimento (che, dopo tutto, non è non-sentire ma una sensazione di non-sentire), il tocco freddo della tecnologia sulla mia carne, sono distrazioni dalle mie possibilità erotiche.” (Sobchack, pag. 167).
Il corpo, sia pure rimosso, non è scomparso. Il dolore è lì a ricordarci che prima o poi dovremo tornare alla realtà. E’ per questo che l’utopia (o distopia) ipnocratica non funziona, alla fine.
E’ vero che la generazione che si è formata cognitivamente (e quindi anche percettivamente) nella sfera ipnotica della virtualità ha perduto la capacità di agire sul piano reale. Ma a un certo punto un individuo iper-connesso e ipnotizzato si sveglia col mal di denti, un altro si sveglia con un fucile puntato alla testa, un altro muore di sete perché nel suo villaggio (che pure è connesso alla rete Starlink) non c’è più acqua.
E’ per questo che il progetto ipnocratico (la sottomissione della mente sociale all’automa) a un certo punto si sfascia, perché gli ipnotizzati si svegliano col mal di denti o con la guerra alle porte.
Purtroppo quando si svegliano è già troppo tardi, ma questo è un altro discorso.
E’ per questo che l’utopia nera di Musk è destinata a sfasciarsi assai presto, perché non tiene conto né del corpo né dell’anima, che non sono riducibili alla matematica.
Quando ci sveglieremo purtroppo sarà troppo tardi.