Lo scongiuro
l'11 marzo del '77 si interruppe la parabola ascendente della storia moderna e iniziò la discesa negli abissi dell'idiozia proprietaria che ora culmina nella demenza nazional-guerrafondaia.
Come ogni anno l’11 marzo alle undici vado in via Mascarella convinto che quest’anno non ci sarà quasi nessuno. Sorpresa: una folla di allegrissimi vecchietti più intelligenti e più belli del resto del genere umano.
Gente che ha conosciuto il deserto e gli improvvisi affollamenti sovversivi, che ha conosciuto il dolore e l’estasi, e non ha mai creduto nelle favole del potere della nazione e del denaro.
Disertori che non hanno alcun potere di cambiare il corso della storia, ma conoscono l’arte dello scongiuro: intuire la tendenza, e sfuggire alle leggi del potere, finché si può.
Poi ecco Pino, che (as usual) mi illumina sul che fare: lo scongiuro.
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La rivoluzione è finita abbiamo vinto - scrivemmo allora, quando fu chiaro che avevamo perso, e che i porci avevano confermato la loro presa sulla macchina che produce ricchezza inutile per pochi e miseria per tutti.
Sapevamo che le parole non sono fatte per rispecchiare il mondo ma per mettere in moto nuove possibilità di mondi in diserzione.
Nell’anno dell’ultima rivolta proletaria del ventesimo secolo, presagimmo il deserto.
E nel deserto ci avviammo, a piccoli gruppi: esplodevano talora momenti di allegria: la disperazione che illumina le menti non ottenebrò i cuori.
Ora che la ragione dei popoli si è offuscata, e la demenza ha preso dovunque il sopravvento, per noi viene il momento dello scongiuro.
La demenza degli accaparratori si nutre di statistiche. La demenza dei guerrafondai si nutre di realismo. Il realismo della demenza difende i confini con le armi, sancisce il diritto all’annegamento di chi vuole vivere, e chiama libertà lo schiavismo.
Ma quando la demenza giunge al suo culmine, allora incomincia la disintegrazione.
Ora ci siamo. Assisteremo allo spettacolo della vostra disintegrazione, anche se sappiamo bene che i vostri droni uccidono malcapitati che non avrebbero nulla a che fare con i vostri fottuti ideali e con i vostri merdosi interessi.
Perciò chiamiamo i disertori allo scongiuro. Dal nostro deserto assisteremo all’inevitabile. Mentre le borse precipitano, le nazioni collassano, e i patrioti si ammazzano l’uno con l’altro, attendiamo che suoni la tromba dell’imprevisto.
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A/traverso luciole
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“…Prendere parte al movimento significa comprendere che la tua vita non è scritta nei piani del potere, ma puoi scriverla tu, almeno fino a un certo punto. Tutto si gioca su quel certo punto. La felicità individuale, la giustizia collettiva, un grado di eguaglianza crescente, e soprattutto la fratellanza: un sentimento di fratellanza, la forza che deriva dalla fratellanza, l’amicizia che si fa regola universale dei rapporti fra gli umani. Fino a un certo punto, lo so.
Ma quanto tempo passa prima che i padroni riprendano il sopravvento, prima che la fratellanza si incrini, prima che il mal di denti torni a farsi sentire? Tutto qua. Prova a farla durare una vita, la fratellanza, prova a mantenere i padroni a distanza per una vita intera, prova a non subire lo sfruttamento per tutto il tempo in cui vivi. Ecco l’utopia realizzata, anche se la rivoluzione non vince mai. La rivoluzione ti insegna che è possibile una linea di fuga dall’inferno terrestre…”
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A/traverso, 1981
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2025: Fidanzati della morte
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volantino 1976
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IL MURO
di Lucia Berardi
Le panchine, le vedo ancora là
Messe di traverso
Per piazza Verdi
Nel centro della strada a fermare il traffico
E le ragazze cantavano
Coi cartelli stesi come panni al sole
La nostra esistenza o quel che ne capivano
E le chitarre,
quelle che le sanno suonare.
Un muro
Ci hanno tirato su un muro
Sul nostro riso e il nostro pianto
E le donne si guardavano ammutolite.
Eppoi
Ora
Il
Compagno
Morto.
Ed è tutto un correre di ragazzi per la strada
Qualcuno ha svaligiato un’armeria
Si dice che le abbiano al collegio universitario.
E si è saputo del concentramento
Da Radio Alice che tutti l’ascoltiamo
Io quando torno dal lavoro, i più
da quando si svegliano, che non lavorano
affatto.
Come le mie amiche che cominciano a farsi spini dalla mattina.
Un muro
Ci hanno tirato su un muro
Sul nostro riso e il nostro pianto.
Le donne si guardano ammutolite.
So che più tardi si cercherà di capire
Qualcosa
Di “sviscerare i problemi” ma ora
Stasera siamo qui a farci una birra
Saccheggiata
E chi può di qualcos’altro per
Raccontarci meglio
Del giorno che ancora
Non è finito però sta finendo qualcosa
Anche se l’impressione è che stia cominciando. La rumba, diceva
Qualcuno.
E intanto
Un muro
Ci hanno tirato su un muro sul nostro riso e il nostro pianto
E intanto
Le donne si guardano ammutolite.
Dove, come alla stazione
Si tirano bocce e brucia il fumo dei lacrimogeni
E brucia il carro ferroviario perché
“passami un’altra boccia” brucia il tuo viso
Anch’io voglio sentire i botti
Tra un binario e l’altro.
Qui c’è l’idea della lotta di classe
Almeno nella sua versione giovanile
Anche se ora che scrivo mi sembra di essere così vecchia
Che erano parecchi anni che non si vedevano cose del genere
In giro.
Dove come a Roma (e siamo al dodici)
Non capivi proprio più un cazzo
E sentivi però che i botti
Avevano un altro suono: erano tutti spari.
Un attimo di riflessione: era un balzo in avanti della lotta di classe
O era una situazione così e basta?
E quindi ciascuno la piglia a modo suo
Io come sempre ho voglia di non perdermi niente e di vedere
Tutto, anche se vedo bene che
Le donne si guardano ammutolite.
Corro di qua e di là.
Non è importante quello che può capitare
Mi sento sola come un altroqualunque.
Un muro
Ci hanno tirato su un muro
Sul nostro riso e il nostro pianto.
Così alle manifestazioni ci andiamo ognuna per conto suo.
Da Roma telefono alle amiche
Sempre quelle che si fanno di spini da mane a sera
Comunque sono lucide e questa volta più sveglie del solito
Una mi parla di barricate.
Torno a Bologna e ci sono sempre tantissimi ragazzi per la strada che ti viene proprio voglia di starci sempre, per la strada.
Un altro muro a radio alice con tutti i botti e la musica che poi hanno messo nel nastro registrato di quando cantavamo pensando we can change the world.
E la sentivi la canzone per un sacco di tempo
fischiettare sugli autobus da ragazzi coi tuoi vestiti.
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