Credo che il Rassemblement national - erede del Front national di Jean Marie Le Pen, collaboratore dei nazisti e torturatore degli algerini - non otterrà la maggioranza assoluta al secondo turno delle legislative. Ma la sua affermazione peserà sulla politica francese, e anche su quella europea.
Intanto Macron, uomo della Goldman Sachs, ha concluso la sua carriera di politico, ma ha portato a termine la missione che la finanza globale gli aveva affidato: aumentare il tempo di lavoro a 64 anni, piegare i lavoratori francesi alla razionalità del profitto, e di conseguenza spostare il voto di molti operai verso la destra razzista.
E’ così in tutto il continente: il centro sinistra ha favorito la precarizzazione del lavoro, lo smembramento dello stato sociale, e la rabbia popolare si è concentrata sul nemico esterno, i giovani migranti senza i quali i vecchi bianchi non saprebbero come coltivare i campi e costruire le case sotto il sole cocente di luglio, né saprebbero a chi consegnare i loro vecchi in Alzheimer.
Ad Amburgo i tifosi di Croazia e Albania uniti dal grido: Morte ai serbi.
A Belgrado il governo cancella il festival Mirëdita Dobar Dan (buongiorno in serbo e in albanese), che si proponeva di avvicinare le diverse culture.
Ecco l’Europa, dopo la cura neoliberale imposta dai governi di centro-sinistra per compiacere i padroni globali della finanza.
Sfruttamento dei clandestini e difesa armata delle frontiere.
Un abisso di miseria morale e materiale.
la finestra di Houellebecq
Nelle ore più tristi mi capita di chiedere aiuto agli scrittori. Non solo a quelli che amo, ma anche a quelli che detesto.
Cosa chiediamo alla letteratura? Tante cose, naturalmente, anche in conflitto fra loro. Ma non possiamo chiedere agli scrittori di dirci la verità perché ogni scrittore ci dice la sua verità, che naturalmente è la sua menzogna, il suo punto di vista, il suo sdegno trasformato in sdegno universale, la sua sofferenza trasformata in sofferenza universale, la sua irresponsabilità che diviene leggerezza condivisa, o talvolta la sua gioia che illumina il mondo di singolarità.
Quello che conta è quanto ampia è la visuale che un autore ci permette di cogliere, quanto larga è la sua finestra. La finestra di Houellebecq è ampia perché ci permette di cogliere alcune delle correnti più profonde del gelo contemporaneo, della barbarie incipiente, della devastazione che si è insediata al centro della vita psichica collettiva, e incombe sulla scena storica.
Per questo oggi parlo di Michel Houellebecq.
L’odio per le donne, e il rancore invidioso per i giovani africani che sono riusciti a sbarcare sulle coste europee sono le costanti esplicite dell’opera di Houellebecq.
Non ho simpatia per lui, ma penso che sia uno dei più grandi autori del nostro tempo, e che ci permetta di avere accesso allo scenario psichico forse decisivo dell’epoca in cui viviamo.
Penso che Houellebecq non abbia capito quasi niente della storia sociale del nostro tempo, ma non mi interessa quel che Houellebecq pensa del mondo; mi interessa il mondo che mi permette di capire, il mondo che percepisce, proietta, perché è gran parte del mondo (disperato e triste) in cui viviamo, e nel quale la maggioranza vota per gli eredi di Mussolini, di Hitler e di Petain.
C’è una generazione che è cresciuta troppo tardi per poter vivere la condivisione felice dei corpi e delle menti e troppo presto per poter congelare pienamente la sfera sensuale ed emotiva nell’astrazione virtuale. Houellebecq racconta la sofferenza di questa generazione di mezzo, che oggi domina la scena sociale e politica senza avere nient’altro da dire che l’odio la frustrazione e la paura.
La bruttezza, la solitudine
Fin dalle prime pagine del primo romanzo di Houellebecq la solitaria tristezza metropolitana domina la scena.
“Plus tard dans la soirée ma solitude devint douloureusement tangible.”
scrive in L’extension du domaine de la lutte.
La solitudine diviene un dolore che si può quasi toccare, come una ferita purulenta. Anche se la solitudine è il suo tema principale, Houellebecq non è affatto uno scrittore intimista: il dolore tangibile di cui parla in tutti i suoi romanzi non è solo il suo personale dolore, ma la chiave attraverso cui raccontare un’epoca, la nostra epoca, che è insieme quella della solitudine digitale, e della folla vociante che vuole vendicare la sua impotenza.
“frequento poco gli esseri umani…” scrive in L’extension du domaine de la lutte, “Sotto i nostri occhi il mondo diviene uniforme: i mezzi di comunicazione progrediscono, l’interno degli appartamenti si arricchisce di nuovi apparecchi. Le relazioni umane divengono progressivamente impossibili, e questo riduce la quantità di aneddoti di cui si compone una vita. A poco a poco appare il volto della morte, in tutto il suo splendore. Il terzo millennio si annuncia bene.”
Dal 2016 l’incel (involuntary celibate), che l’arroganza sociale chiama lo sfigato, il loser, entra prepotentemente nella storia: con la vittoria della Brexit e la vittoria di Trump alle elezioni di novembre la miseria sessuale e psichica del maschio bianco entra nell’arena come fattore dirompente, accompagnata naturalmente dall’umiliazione sociale che il tecno-liberismo ha inflitto alla maggioranza della popolazione.
La solitudine sessuale è un fenomeno in crescita, secondo ricerche degli ultimi dieci anni: nel libro Il declino del desiderio lo psicoanalista italiano Luigi Zoja scrive che la sessualità, grande protagonista del ventesimo secolo, sembra in ritirata nei comportamenti della società: nel 2005 un terzo della popolazione adulta del Giappone era vergine, e la cifra arriva al 43% nel 2015. In Cina, nel 2022, Il Ministro dell’Educazione ha lanciato un appello per rilanciare la virilità dei giovani maschi.
In America la Manosphere, (Men going their own way, incels, father rights groups) è il nerbo della cultura trumpista.
I gruppi di “celibi involontari” proliferano nel mondo.
L’extension du domaine de la lutte è un libro del 1994, e intuisce con un certo anticipo l’universo sordido e rancoroso che si è aperto nel nuovo secolo, di cui l’onda nera è la forma più visibile.
“Ho avuto alcune donne, per dei periodi limitati. Sprovvisto di bellezza e di fascino, soggetto a frequenti attacchi depressivi, io non corrispondo per niente a quel che le donne van cercando. Ho sempre sentito, nelle femmine che mi aprivano i loro organi, come una leggera reticenza, in fondo per loro io rappresentavo solo un ripiego. Il che non è proprio, sembra chiaro, un punto di partenza ideale per una relazione durevole.” (L’extension…., Editions j’ai lu, 1994, p. 15).
L’odio per la femmina che ti dà “accesso ai suoi organi” per compassione o per mancanza di meglio, ma ti disprezza intimamente: questa percezione di sé è il cuore del fascismo post-moderno.
Il disprezzo per il corpo è prima di tutto disprezzo per il proprio corpo, e l’odio per la femmina è intriso di odio di sé. Nel romanzo c’è una ragazza che si chiama Brigitte Bardot, per crudeltà dei signori Bardot che hanno deciso di mettere il nome Brigitte a questa povera figlia che Houellebecq descrive con queste parole:
“Anzitutto era grassa, un budino, con dei rotoli di ciccia disposti sgradevolmente alle intersezioni del suo corpo obeso…. “ (p. 88)
Non posso neppure tradurre le parole che seguono perché perché il body shaming diviene disgustoso oltre misura. Ma la povera Brigitte Bardot, osserva il Nostro, è come ogni altro essere umano sessuato, soggetta a “meccanismi ormonali che funzionano normalmente…. E allora? Questo basta per alimentare dei fantasmi erotici? Immaginava che mani maschili potessero attardarsi tra le pieghe del suo ventre obeso?…” (90)
Houellebecq è bravissimo nel rendersi antipatico, però mi costringo a leggerlo, ad apprezzarlo, a comprenderlo, perché mi aiuta a comprendere quello che sta accadendo al genere umano durante la rabbiosa agonia che stiamo vivendo. Non possiamo capire la sostanza psico-politica della precipitazione nell’abisso fascista senza partire da questo disgusto di sé, questa disforia rabbiosa.
“Nelle nostre società il sesso rappresenta un secondo sistema di differenziazione, del tutto indipendente dal denaro; un sistema di differenziazione altrettanto impietoso. Gli effetti di questi due sistemi sono del resto strettamente equivalenti. Come il liberalismo economico il liberalismo sessuale produce dei fenomeni di pauperizzazione assoluta. Alcuni fanno l’amore tutti i giorni, altri cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Alcuni fanno l’amore con dozzine di donne, altri con nessuna. E’ quello che si chiama la legge del mercato. In un sistema economico in cui il licenziamento è vietato, tutti più o meno trovano un posto di lavoro. In un sistema sessuale in cui l’adulterio è proibito, tutti riescono ad avere un compagno di letto. In un sistema economico perfettamente liberale alcuni accumulano fortune considerevoli, altri languiscono nella disoccupazione e nella miseria. In un sistema sessuale perfettamente liberale alcuni hanno una vita sessuale variata ed eccitante, altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine.” (100).
L’opera di Houellebecq si può leggere come critica dell’economia politica della sessualità in regime liberale, e non c’è correttezza politica che tenga di fronte al dolore silenzioso di chi non vince sul mercato del sesso.
immagine di ISTUBALZ
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La crudele asimmetria del desiderio
Il dolore sociale si può confessare, anzi si può gridare, e infatti per alcuni decenni ne abbiamo fatto il fondamento di un movimento di lotta e di rivendicazione. La lotta ha riscattato quel dolore, gli ha dato un senso, lo ha trasformato in gioia collettiva della rivolta. Ma il dolore sessuale è l’inconfessabile che tutti conoscono ma nessuno pronuncia.
Il femminismo ha in effetti toccato questo tema, ha messo in discussione l’obbligo patriarcale, la reificazione del corpo della donna, ha perfino messo in discussione l’ambiguità implicita nella libertà sessuale. Ma poi si è fermato sulla soglia, non ha osato mettere in discussione la crudeltà del desiderio.
“Maschio represso/ masturbati nel cesso.” gridavano le femministe per denunciare la miseria maschile e la violenza che ne può derivare. Ma difficilmente hanno osato andare alla radice della solitudine sessuale.
Ecco allora che le vittime della crudele asimmetria del desiderio, coloro che sono esclusi da un gioco che si impone a tutti come il gioco dei giochi, tacciono la loro sofferenza, e accumulano un’ aggressività che non può dichiararsi pubblicamente, ma si manifesta sul piano politico. L’odio contro l’elite, che si pretende arbitra della bellezza e giudice della verità, diviene motore dell’azione collettiva, mentre l’odio contro gli sfruttatori recede sullo sfondo come se fosse un tema trito, derubricato a meschina invidia sociale.
Ecco allora il paradosso degli sfruttati che votano per lo sfruttatore più torvo, ma ricco e potente. Il rancore inespresso si fa potenza politica reazionaria.
L’odio sessuale alimenta l’aggressività contro il corpo dell’altro: dilagare del femminicidio, dilagare del razzismo, psicopatia di massa che si traveste da rivendicazione di un’appartenenza al popolo, al popolo dei brutti, degli esclusi, dei non fascinosi.
L’esaurimento
L’esaurimento è un’altra chiave per comprendere il momento storico in cui stiamo vivendo.
La demografia ci permette di capire la depressione psico-culturale che attraversa l’Occidente e che ha portato i paesi del mondo bianco alla guerra e alla demenza. Demenza senile: nazionalismo, riarmo scatenato, respingimento rabbioso degli stranieri dei quali pure la popolazione senescente europea ha bisogno. Anzi proprio perché ci rendiamo conto che non possiamo farne a meno, li guardiamo con sospetto e in molti casi con odio: sappiamo che senza di loro non ci sarebbero badanti, non ci sarebbero lavoratori capaci di svolgere quelle mansioni che richiedono una forza fisica e una tolleranza del dolore e della fatica di cui i vecchi bianchi non sono più capaci, e i giovani sono culturalmente abituati ad evitare.
C’è insieme odio per i migranti giovani e disperato bisogno di gente giovane, Le tecniche raffinate della medicina possono rabberciare ma non sanare le membra senescenti: il tempo della vita aggressiva e predona è scaduto, e le ricchezze accumulate in qualche forziere difeso da governi fascistoidi non compensano la miseria psichica.
E’ l’ora del decadimento, l’Alzheimer dilaga, il cancro corrode le interiora, la razza bianca invano convoca le sue forze (armate), invano brandisce i suoi missili e i suoi droni.
“Siamo stupidi, moriremo”, diceva la replicante Priss in Blade Runner. Ma non sappiamo morire, ci nascondiamo la verità fino all’ultimo e continuiamo a prolungare il tempo di vita grazie a tecniche di sopravvivenza.
Intanto la riforma neoliberale dei sistemi sanitari seleziona una quota di umani che possono godere delle innovazioni farmacologiche, mentre gli altri hanno sempre più difficoltà ad accedere ai servizi sanitari elementari.
In Italia il sistema sanitario pubblico è già da tempo al collasso.
Dopo avere parlato del primo romanzo di Houellebecq, ora parlo dell’ultimo:
Aneantir. Non è il migliore dei suoi romanzi, ma forse è quello che va più direttamente al cuore dell’ossessione europea. Pubblicato all’inizio del 2022, poco prima dell’inizio della guerra demente al confine orientale d’Europa, questo romanzo è disperata rappresentazione, insieme rassegnata e rabbiosa, del declino della razza dominatrice.
Proiezione del sentimento di esaurimento delle forze fisiche, consapevolezza di una tendenza demografica, storica, economica, ma soprattutto psichica verso l’esaurimento della razza bianca.
Houellebecq è grande nella sua bassezza perché ha il coraggio intellettuale di dare voce a questo sentimento che anima la scena politica europea ormai dall’inizio del secolo, il sentimento che spiega qualcosa della vittoria elettorale delle destre in tutti i paesi dell’Unione europea.
Leggiamo Aneantir.
Francia profonda. Una famiglia si riunisce intorno all’ottantenne padre colpito da ictus. Coma interminabile del vecchio patriarca che lavorava per i servizi segreti. Il figlio, Paul, che lavora pure lui per i servizi segreti ma anche per il Ministero delle Finanze, scopre di avere un cancro terminale durante il coma interminabile del padre. L’altro figlio, Aurelien, fratello di Paul, si suicida, incapace di affrontare una vita in cui si è sempre sentito sconfitto.
Il solo personaggio che porta un po’ di energia in questa famiglia moribonda è una giovane infermiera africana che si avvicina sentimentalmente ad Aurelien, e decide di tornare in Africa dopo che lui si è ammazzato.
Resta la figlia, Cecile, cattolica integralista moglie di un fascistoide notaio che ha perso il lavoro, ma ne trova un altro negli ambienti della destra lepenista.
La malattia terminale è il tema di questo romanzo mediocre: l’agonia della civiltà occidentale. Non è un bello spettacolo, perché la mente bianca non si rassegna all’ineluttabile. Tragica la reazione dei vecchi bianchi agonizzanti.
Lo scenario in cui questa agonia si svolge è la Francia di oggi, culturalmente devastata dall’aggressività liberista macroniana, un paese spettrale in cui la lotta politica si svolge nel quadrato mefitico di nazionalismo aggressivo, razzismo bianco, rancore islamico e integralismo economicista.
Ma lo scenario è anche il mondo post-globale, minacciato dal delirio senile della cultura dominatrice ma declinante: bianca, cristiana, imperialista.
Una società senescente, demograficamente e culturalmente declinante reagisce con ferocia all’invasione straniera, e allo sgretolamento della famiglia tradizionale e della sessualità patriarcale.
Di fronte all’ondata di migrazione e disperazione che viene dal sud del mondo, la popolazione bianca, destinata al declino demografico e politico reagisce con un ritorno aggressivo del suprematismo: si tratta del rabbioso e demente suprematismo dei declinanti.
Di questo mondo triste Houellebecq ci fornisce la chiave.
immagine di ISTUBALZ