Sado-maso economy
Estetica ed erotica del capitalismo Gore/ The Parable of the sower, un romanzo di Octavia Butler/ ReArm Automotive
ReArm:
Domenica 6 Aprile, in Piazza Maggiore a Bologna: un'Importante Manifestazione per l'Europa che si Arma per La Pace.
Tra i promotori Matteo Lepore , Sindaco della città e Michele Serra , giornalista di punta dI Repubblica, quotidiano del Gruppo Stellantis che ha già ribattezzato l'intera operazione da ''ReArm EUROPE'' in '' ReArm AUTOMOTIVE'' ( e sarebbe già una Barzelletta così)
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Ma è un appuntamento troppo importante per poter mancare e noi Volenterosi saremo in massa presenti con un Imponente Stand dove inizieremo ad accettare adesioni per uomini e donne Prodi e coraggiosi che decideranno di unirsi a noi per diventare un contingente dissuasivo e di protezione, capace di sostenere Kiev sul campo di battaglia con consulenza strategia e consolazione (in omaggio il Kit di Resilienza per essere autonomi per almeno 72 ore in caso di aggressione )
We Want You feroci, formidabili, orgogliosi e vittoriosi guerrieri d'Occidente , basta fare i Leoni da tastiera, scendete dalla sedia ed insieme torneremo ad essere quella Forza di Rassicurazione Armata come in tutto il Mondo, da sempre, l'Europa è stata!
Vi aspettiamo numerosi Domenica e portate le solite bandiere della Pace che ci danno sempre buon umore.
P.S.
Questo Non è un Pesce D'Aprile
(Copyright MenoMale)
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MILANO, Torchiera senz’acqua, Sabato 5 aprile 2025
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SADOMASO EMPIRE
Kristi Noem davanti alla gabbia in cui sono detenuti esseri umani denudati,
Tecoluca, El Salvador
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Nell’anno 2025 siamo al punto di svolta: la vita quotidiana, come il panorama geopolitico, diventano teatro di una guerra di tutti contro tutti.
Kristi Noem, Ministro della sicurezza interna degli Stati Uniti, va a El Salvador a farsi filmare mentre pronuncia minacce di tortura e deportazione a chiunque travalichi le frontiere della sua patria. Alle sue spalle, dietro le sbarre di una gabbia, uomini a torso nudo e cranio rapato, col torace ricoperto di tatuaggi.
Teatro della crudeltà sadomaso: la figura femminile virilizzata in modo aggressivamente suprematista.
Negli ultimi trent’anni nessun teorico marxista o liberale, ha saputo prevedere la precipitazione psicotica cui stiamo assistendo. I concetti con cui il pensiero marxista analizzava la società appaiono incapaci di capire la guerra biopolitica globale, il programma di genocidio sistematico, la cancellazione di fatto del diritto e della legge.
Forse soltanto Sayak Valencia ha pensato un concetto utile nel tempo di Kristi Noemi: gore-capitalism.
“Valencia argues that violence itself has become a product within hyper-consumerist neoliberal capitalism, and that tortured and mutilated bodies have become commodities to be traded and utilized for profit in an age of impunity and governmental austerity.”
Se cerchiamo qualche lampo di immaginazione sociologica, dobbiamo andare a leggere gli scrittori della fantascienza distopica: Norman Spinrad, che in Bug Jack Burton, immaginò una presidenza americana che organizza la tratta di bambini cui sottrarre il sangue per restaurare le energie degli anziani oligarchi predatori.
Philip Dick in The Man in the high castle, racconta che i nazisti tedeschi e giapponesi hanno conquistato gli Stati Uniti d’America e reggono le sorti del mondo con il lancio di gettoni dell’I Ching.
In Fahrenheit 451 Ray Bradbury aveva immaginato il divieto di leggere e detenere libri. I techno-oligarchi trumpisti aggrediscono le università e sottopongono a commissioni governative di controllo istituti di ricerca post-colonial.
Inquisizione MAGA-sionista.
Nessuno come Octavia Butler, però, aveva anticipato il nazismo ultra libertario della guerra di tutti contro tutti cui stiamo assistendo in questo secolo in cui il solo programma di governo riconoscibile è il genocidio.
Octavia Butler è da considerarsi senz’altro una scrittrice dotata di antenne finissime. Nel 1993 scrisse The parable of the sower, che è il suo romanzo più noto.
La storia raccontata da Butler si svolge nell’anno 2025. Oggi.
Negli Stati Uniti d’America un tizio che si chiama Donner ha appena vinto le elezioni, e promette di riportare l’America alla sua grandezza di un tempo. Make America great again.
L’America di cui parla Butler è il teatro di una guerra di sterminio: miseria, terrore, incendi che si moltiplicano in ogni luogo del paese. Spostarsi da un punto all’altro è diventato pericoloso perché dovunque scorrazzano gruppi di cenciosi miserabili affamati, stravolti da droghe che eccitano al sadismo e alla piromania.
Non si potrebbe immaginare niente di più realistico, se si pensa ai giorni in cui inizia la seconda presidenza Trump. Il paese che ha portato all’estremo il culto della violenza, sta trascinando nel vortice dello sterminio il pianeta intero. Il popolo americano discende da una storia di crimini contro l’umanità: non esisterebbe senza genocidio, schiavismo e violenza.
Per quel popolo la sola speranza è prevalere con la forza. E’ così che quel popolo è nato, così si è formato, così ha prevalso.
Ma questa volta è diverso, perché l’America sta sprofondando nella senilità, nella demenza, nella tristezza e nel Fentanyl.
Difficilmente l’America può prevalere perché nessuno, neppure la più grande potenza militare di tutti i tempi può rovesciare la freccia del tempo.
In quel paese, il più disperato di tutti, ogni essere umano è un pericolo per il suo vicino. Non ci può essere amore, non ci può essere amicizia, perché ciascuno sa di essere solo, come dice una scritta che ho letto in via San Vitale, a Bologna.
Quel che l’America può fare è trascinare il genere umano nel suo gorgo suicida.
La parabola del seminatore è un romanzo che appare privo di ogni spiraglio di speranza. Lauren Olamina è una ragazza che soffre di iperempatia. Cioè soffre quando assiste alla sofferenza di un altro essere umano, e questo sentimento è considerato una malattia.
“L’iperempatia è un esempio di ciò che i dottori chiamano disturbo delirante organico… In teoria dovrei condividere il piacere e il dolore altrui. Ma negli ultimi tempi di piacere non ce n’è tanto in circolazione.”(pag. 18)
L’adattamento evolutivo ha condotto gli abitanti di quel paese a sviluppare una totale impermeabilità al dolore dell’altro. Ma Lauren soffre, non è impermeabile.
Mentre tutti sono occupati soltanto a sopravvivere, a rubare, uccidere, bruciare, Lauren non ha smesso di pensare. Capisce quel che sta accadendo. Capisce cosa sia l’orrore.
L’empatia è coscienza. E la coscienza è pericolosa, dice il padre di Lauren. Gli altri sanno che la vita è diventata un inferno, gli altri sanno che non c’è speranza nel futuro, ma non c’è altro da fare che sopravvivere.
“…quasi tutti gli adulti lo sanno. Non lo vogliono sapere, ma lo sanno.” (Pag. 69)
“Il reale traumatico è là, e dovrebbe farci svegliare in modo tale da potergli sfuggire, ma per qualche ragione questo non accade: non abbiamo via d’uscita.” (Zupancic: Disconoscimento, Meltemi, 2024 titolo originale: Disavowal)
Quando non c’è via d’uscita da una condizione intollerabile cosa possiamo fare se non tollerarla? Cosa possiamo fare se non tentare di non sapere la verità, pur sapendola?
Nel romanzo di Butler la sopravvivenza consiste nel difendersi continuamente dalle aggressioni di coloro che non hanno niente da mangiare e cercano disperatamente di rubarlo a voi. E dalle aggressioni di coloro che sono usciti di senno e vogliono bruciare la vostra casa, il vostro villaggio.
“Non possiamo vivere così! Ha gridato Cory.
E invece è proprio così che viviamo, ha detto papà. Non c’era rabbia nella sua voce, non era una reazione istintiva allo strillare di Cory. Non c’era proprio niente. Stanchezza. Tristezza…..
“Che dobbiamo fare se tu muori? chiesi a mio padre.
“Vivere! Ha risposto. E’ la sola cosa che chiunque possa fare in questo momento, vivere, tenere duro, sopravvivere. Non so se verrano mai tempi migliori ma so che non avrà importanza, se noi riusciremo a sopravvivere a questi tempi qui.” (93)
Non so se verranno mai tempi migliori, dice il padre a questa sua figlia. Ma come si può dire questa verità a qualcuno che abbiamo messo al mondo?
Poi il padre di Lauren scompare, non ritorna da un breve viaggio, non si hanno più sue notizie, la sua famiglia i suoi amici lo cercano, ma non c’è niente da fare. Alla fine lo danno per morto. Lauren va avanti da sola, e nella sua mente cresce l’idea di fondare una comunità che sia come il seme della terra.
“È stato il seme della terra a darmi la forza di andare avanti quando mio padre è scomparso.” (321)
Poi la diciottenne Lauren incontra il cinquantenne Bokele, un uomo gentile, intelligente e bello. Le piace quell’uomo solitario, si parlano, fanno l’amore.
Poi lei gli parla del suo progetto di fondare una comunità del seme della terra.
Ma lui non se la beve. Non gli interessa la speranza. La speranza è un autoinganno nel quale Bokele non intende lasciarsi intrappolare.
“Sei giovanissima, ha detto. Mi sembra quasi un crimine che tu debba vivere così giovane in questi tempi orrendi. Vorrei che tu avessi conosciuto questo paese quando era ancora salvabile.
Lei vuole credere in un futuro migliore, lui sa che non ci sarà.
Eppure Bokele sceglie, per amore, di vivere con lei e con la comunità che si è andata poco a poco raccogliendo intorno al seme della terra, alle illusorie speranze con cui Lauren permette ai suoi amici di andare avanti.
Sono disertori che fuggono, e le parole di Lauren permettono di immaginare un mondo migliore che un giorno potrà germinare da quelle parole, come dal seme di cui parla il Vangelo di Luca.
“Un seminatore uscì a seminare la sua semenza; e, mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada: fu calpestato e gli uccelli del cielo lo mangiarono, Un altro cadde sulla roccia, appena fu germogliato seccò perché non aveva umidità. Un altro cadde in mezzo alle spine che lo soffocarono. Un’altra parte cadde in un buon terreno. Quando fu germogliato produsse cento per uno.” (Luca, 8, 5-8).
Bokele non crede in questo futuro, sa che quella speranza è illusoria, ma condivide il cammino di quella comunità; lo fa per amore, per amicizia, lo fa perché il suono delle parole lo accompagna.
Anche io cammino, e ascolto le parole di un’amica che declama speranze, e sorrido agli amici e ai compagni. Con loro ho disertato l’orrore che da qualche decennio sembra ingoiare il mondo.
Non ho speranza perché ho guardato intorno, usando gli strumenti conoscitivi di cui dispongo. Non ne ho altri.
So che l’inevitabile per lo più non si verifica perché l’imprevisto prevale.
Ma non posso parlare dell’imprevisto, né posso credere a ciò di cui non posso parlare.
Dunque meglio sarebbe tacere, non dire quel che vediamo? Me lo chiedo talvolta, quando lo scoraggiamento tende a prevalere.
Poi mi rispondo con le parole che Simone Weil scrisse mentre Hitler stava prendendo il potere in Germania:
“Per noi la più grande sventura sarebbe morire impotenti sia a vincere sia a comprendere” (Simone Weil, 1933).
Così vado avanti, in attesa di morire. Ascolto le parole di speranza della seminatrice, attendo l’imprevisto, ma descrivo il panorama che mi è dato di vedere.
umani allineati contro un muro per il godimento sadico dei nazisti nordamericani